Giustizia. Processi italiani, processi kafkiani

Giustizia. Processi italiani, processi kafkiani

Lo stato della Giustizia italiana e il processo Arcadia

Se il grado e livello di civiltà di un Paese si ricava (anche) dalla qualità dell’amministrazione della giustizia, allora, manco a dirlo, siamo messi piuttosto male pure da questo punto di vista.

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

A questo proposito giova ricordare, come cornice generale di un poco edificante quadro, che lo Stato italiano da quasi 23 anni continua a collezionare procedimenti d’infrazione e condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per il proliferare di casi di quella che si può legittimamente sintetizzare in un’unica parola: malagiustizia, tra sovraffollamento delle carceri, trattamenti inumani e degradanti, responsabilità civile dei magistrati, lentezza esasperante dei procedimenti e problematiche relative al pagamento degli indennizzi.

Riforma

È cronaca di questi giorni il tema caldissimo della riforma, non più procrastinabile, della giustizia italiana, attualmente in discussione in Parlamento, con gli occhi dell’Europa puntati addosso, in un clima di forte tensione e spaccatura soprattutto all’interno della stessa maggioranza di governo, principalmente a causa delle norme di revisione della prescrizione.

Tortura

Come lo è pure il doloroso, vergognoso e sconvolgente episodio (ma siamo poi sicuri che di un singolo episodio si tratti, sulla falsariga della scioccante repressione delle proteste dei manifestanti al G8 di Genova nel 2001?) delle torture, sistematiche e scientifiche, documentate inequivocabilmente dalle immagini delle telecamere a circuito chiuso, inflitte ai reclusi del carcere di Santa Maria Capua Vetere, nei giorni “caldi” in cui essi, un anno fa, protestavano per il diffondersi del Covid all’interno della struttura. Torture che solo ora sono venute alla luce e che, come quelle avvenute nella scuola Diaz del resto, sarebbero ben degne delle più bieche e feroci dittature latinoamericane.

Fanalino di coda

Qualche dato esemplificativo può essere d’aiuto: nell’ultimo rapporto della CEPEJ (Commissione europea per l’efficacia della giustizia), organismo che ogni due anni valuta i sistemi giudiziari dei Paesi facenti parte del Consiglio d’Europa, si legge che in Italia, nel 2018, occorrevano in media (la più alta d’Europa) 361 giorni per giungere a una sentenza di primo grado in un processo penale (contro una media europea di 144 giorni); 527 giorni in un processo civile o di contenzioso di natura commerciale (contro una media europea di 233 giorni); 889 giorni per una sentenza di primo grado in un processo amministrativo (contro una media europea di 323 giorni).

Dunque soprattutto il confronto tra i tempi della giustizia in Italia ed Unione Europea è sconfortante e impietoso per la prima (nonostante alcuni progressi registrati), risultando fanalino di coda continentale tanto nel processo civile (che attualmente si conclude definitivamente dopo una media di circa 840 giorni) quanto (ancor di più) in quello penale, benché i tempi si siano accorciati (da 386 giorni a 310 per la prima sentenza) ma in misura ancora del tutto insoddisfacente se si considera che in molti Stati dell’UE si è riusciti a scendere sotto i 100 giorni (Danimarca 38 giorni, Austria 99) o tra 100 e 200 giorni (Germania 117; Spagna 163; Svezia 133).

Indipendenza della giustizia

Infine, per completare questa rapida carrellata e dare la pennellata finale al quadro finora dipinto, va riportato che l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), in occasione della Giornata Europea della Giustizia, facendo il punto sulla situazione dell’indipendenza della stessa in Europa, colloca l’Italia agli ultimi posti dopo Grecia, Cipro e Repubblica Ceca. L’ISPI a sua volta si serve dei dati dell’IDEA (Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale) che annualmente calcola il Global State of Democracy, un indice che fotografa lo stato di salute della democrazia nel mondo. Uno degli indicatori è relativo appunto all’indipendenza della giustizia (indipendenza delle alte corti, indipendenza delle corti di giustizia, sottomissione della magistratura), aspetto sotto cui l’Italia certamente non brilla se è vero come è vero che viene classificata tra i Paesi con un medio livello di performance con un valore di indipendenza pari a 0,63 su 1, attestandosi pertanto nella parte bassa di questa speciale classifica dietro i già citati Stati.

Tutta questa articolata premessa era assolutamente necessaria per capire il contesto di ciò di cui stiamo parlando.

Processo Arcadia

È purtroppo cronaca di questi giorni anche il processo che sta continuando a Sassari a carico di alcuni esponenti e militanti della formazione A Manca pro s’Indipendèntzia. Dopo la bellezza di 15 anni (era il 2006) il giudizio è ancora al suo primo grado ed è stato ispirato dalle indagini dell’operazione denominata Arcadia che, sulla sola base di alcune intercettazioni telefoniche e ambientali, aveva portato all’arresto dei medesimi con l’accusa di terrorismo ed eversione. Quindici anni durante i quali le vite degli inquisiti, teoricamente a processo dal 2014, sono state nel frattempo stravolte, sovvertite, distrutte in modo incontrovertibile, esse sì, mentre al contrario prove concrete e schiaccianti (materiali e documenti) che dovrebbero inchiodare i presunti complottisti, ritenuti dagli inquirenti gli organizzatori di alcuni attentati dimostrativi, non risultano, a quanto si apprende, esser state prodotte.

Garantismo e civiltà

Come coordinamento Torra! sottolineiamo l’assurdità dei tempi della “giustizia” italiana con la quale più o meno tutti noi cittadini abbiamo avuto a che fare in sede civile o penale e che abbiamo dunque sperimentata. A prescindere dalla verità processuale che deve ancora essere scritta nei tempi che, purtroppo, sappiamo non essere brevi, esprimiamo comprensione e vicinanza umana agli imputati chiedendone il rispetto di tutti i diritti tra cui annoveriamo anche quello alla ragionevole durata del processo. Rimarchiamo la totale mancanza di garantismo e di civiltà con cui sono stati trattati gli imputati da parte dello Stato italiano – modalità indegne per un Paese che si vuole democratico – e ci chiediamo quale mai potrà essere il risarcimento morale per tutto il tempo intercorso tra l’apertura delle indagini e lo svolgersi del procedimento.

Auspichiamo che tale calvario processuale si risolva con la piena assoluzione e la riconosciuta innocenza di tutti gli imputati (almeno quello!) e che questo processo non continui a richiamare alla memoria quello dell’omonimo romanzo di Franz Kafka, in una dimensione di angoscia, assurdità e desolazione alla quale, purtroppo, l’ordinamento giudiziario italiano ci ha abituati.

torrasardigna.org